11 settembre 2013

Letture mattutine. Italo Calvino.

Oggi, giornata terribilmente uggiosa, calda, piovosa, grigia. Sveglia alle 6:50 come ogni santo giorno, colazione, il che vuol dire un caffè, lavata di denti e poi tuffo in metropolitana. Oggi però niente musica, mi sono portato un libro: "Ti con zero" di Italo Calvino. Una giornata di merda risollevata da uno dei più grandi scrittori del novecento. Consiglio a tutti la lettura, per chi, come me, ha aspettato troppo per leggere quest'opera. 

"A Penn Station scendo dal treno, prendo il subway, sto in piedi reggendomi con una mano al sostegno  e con l'altra tenendo alzato il giornale ripiegato su cui scorro i numeri delle quotazioni in borsa: sto al gioco, insomma, al gioco di fingere un ordine nel pulviscolo, una regolarità nel sistema, o una compenetrazione di sistemi diversi ma comunque misurabili sebbene incongrui, tale da far combaciare a ogni granulosità del disordine la sfaccettatura d'un ordine che subito si sbriciola."

"Seguo le frecce sull'asfalto, m'incolonno al semaforo e riparto (oggi sono venuto a New York in macchina) quando viene il verde (come ogni mercoledì perchè accompagno) ingrano la prima (Dorothy dal suo psicanalista), cerco di tenere una velocità costante che mi permetta di passare sempre col verde in Second Avenue. Questo che voi chiamate ordine è uno sfilacciato rattoppo della disgregazione; ho trovato un posto al parcheggio ma tra due ore dovrò scendere per rimettere una moneta nel segnatempo; se me ne dimentico porteranno la macchina via con una gru."

"Certo volendo, uno può anche mettersi in testa di trovare un ordine nelle stelle, nelle galassie, un ordine nelle finestre illuminate dei grattacieli vuoti dove il personale della pulizia tra le nove e mezzanotte dà la cera agli uffici. Giustificare, il gran lavoro è questo, giustificate se non volete che tutto si sfasci. Stasera ceniamo in città, in un ristorante sul terrazzo d'un ventiquattresimo piano. E' una cena d'affari; siamo in sei; c'è anche Dorothy, e la moglie di Dick Bemberg. Mangio delle ostriche, guardo una stella che si chiama (se è quella) Betelgeuse. Conversiamo: noi, di produzione; le signore, di consumo. Del resto, vedere il firmamento è difficile: le luci di Manhattan si dilatano in un alone che s'impasta con la luminosità del cielo.
La meraviglia dei cristalli è il reticolo degli atomi che si ripete di continuo: era questo che Vug non voleva capire. Quel che piaceva a lei - presto lo compresi - era scoprire nei cristalli differenze anche minime, irregolarità, imperfezioni."

"Come intenderci? Per me valeva solo ciò che era accrescimento omogeneo, inscindibilità, quiete raggiunta, per lei ciò che era separazione e mescolanza, l'una cosa o l'altra, o le due cose insieme. Anche noi due dovevamo acquistare un aspetto (ancora non possedevamo nè forma nè futuro): io immaginavo una lenta espansione uniforme, sull'esempio dei cristalli, fino al punto in cui il cristallo-io si sarebbe compenetrato e fuso con cristallo-lei e forse saremmo diventati una cosa sola col cristallo-mondo; lei già sembrava sapere che la legge della materia vivente sarebbe stata il separarsi e il ricongiungersi all'infinito. Era Vug, dunque, ad avere ragione?"

"Lei dice - sei fissato -. Ed è il nostro vecchio bisticcio che continua: vuole farmi ammettere che l'ordine vero è quello che porta dentro di sé l'impurità, la distruzione."

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